Laatste boek van deze auteur. Wordt beschouwd als een soort vervolg op "Radetskymars". Vooral de karaktertyperingen zullen me bijblijven: afwisselend bijtend-cynisch naar maatschappij en samenleving, dan weer empathisch sympathiserend met de "gewone man".
Ook de zinloosheid en de apathie van een tijdvak dat ten einde is gekomen, en de opkomst van een fascistische samenleving wordt subtiel aangegeven, maar niet benoemd. ( )

One of my favorite authors. It’s been quite a while since I revisited Roth and I am embarrassed that this one took so long. Like so much of his work, a masterpiece of nostalgia for the hinterlands of the Hapsburg empire. A wonderful writer with a knack for the telling detail and for evoking a lost world. The story line is engaging and involved (if you’ve read Roth before, you’re likely familiar with the Trotta family) but, to my mind, as good as it is, the story takes second-place to Roth’s superb evocation of time and place and the decay of the empire. It was the last novel of his published in his lifetime and it ends, pregnantly, with the arrival of the Nazis in Vienna. ( )

El protagonista de La Cripta de los Capuchinos, heredero de una familia de orígenes humildes ennoblecida por Francisco José, describe su vida en la Viena deslumbrante en los albores de la Primera Guerra Mundial. A los últimos estertores del imperio de los Habsburgo siguen los días trágicos de la guerra y de una posguerra gris y violenta. Antes de que los nazis entren en Viena, el joven Trotta, símbolo de un mundo en declive, baja a la cripta a la que alude el título de la novela, el panteón imperial austríaco, donde confesará su fracaso. La Cripta de los Capuchinos (1938) es tanto la novela del declive de Austria como estado soberano —la "finis Austriae"— como la desaparición definitiva de un mundo. La extrema depuración del talento narrativo de Roth y su capacidad y precisión de observador han convertido esta novela en una obra de referencia inexcusable

Imprescindible haber leido con anterioridad "La Marcha Radetzky" ( )

In questo romanzo Roth riprende la storia della famiglia Trotta, il cui epos aveva già narrato nella Marcia di Radetzky, per aggiungere dall’abisso una necessaria conclusione a quella vicenda che si era appunto fermata sulla soglia della fine. Quando il romanzo si apre, il giovane Trotta – erede di una famiglia dalle umili origini, che fu nobilitata da Francesco Giuseppe dopo che il sottotenente di fanteria Trotta gli aveva salvato la vita nella battaglia di Solferino – ci descrive la sua vita amabilmente dissipata di giovane brillante alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale. L’arrivo di un ignoto parente sloveno, un caldarrostaio dal ricco spirito nomade, che affascina subito il cugino cittadino, è per lui l’ultima felice sorpresa prima di quel giorno di pioggia in cui gli abitanti dell’Impero lessero per le vie il manifesto di Francesco Giuseppe che annunciava la guerra e cominciava con le parole: «Ai miei popoli!». Da quel momento il destino del giovane Trotta comincia a precipitare, mentre sempre più netto si fa in lui un senso di amarezza disperata e intorno gli si rivela un mondo degradante, già pronto a imporsi. Silenzioso, conscio testimone, egli traverserà la follia della guerra e le umiliazioni del dopoguerra, si scoprirà estraneo in mezzo a un nuovo ordine di cui già vede la meschinità e la violenza, potrà vedere l’entrata dei nazisti a Vienna, sigillo di tutte le morti, e vorrà scendere allora un’ultima volta nella Cripta dei Cappuccini, impressionante magazzino mortuario dove si conservano le spoglie degli Asburgo, prima di porsi una domanda a cui sia lui sia lo stesso Joseph Roth sapevano di non poter dare risposta: «Dove devo andare, ora, io, un Trotta?»...