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Alchemy and Kabbalah

Tekijä: Gershom Scholem

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55-471,970 (4.5)3
A groundbreaking text on alchemy by the leading scholar of Jewish mysticism is presented here for the first time in English translation. Scholem looks critically at the connections between alchemy, the Jewish Kabbalah; its christianized varieties, such as the gold- and rosicrucian mysticisms, and the myth-based psychology of C.G. Jung, and uncovers forgotten alchemical roots embedded in the Kabbalah.… (lisätietoja)
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Da quando il mondo europeo, sul finire del Medioevo, venne a contatto con la mistica e mal teosofia ebraiche, ossia con la Kabbalah, ha coniugato, nel corso dei secoli, le più svariate rappresentazioni con il complesso propriamente costitutivo di questa “Kabbalah”.
Sitaatit
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Il nome della misteriosa disciplina, proclamata e amminrata dai suoi primi propagatori cristiani, a Giovanni amico della Mirandola e Reuchlin, come la custode della più antica e più alta saggezza misterica dell’umanità, divenne parola d’ordine di tutti i cordoli interessati alla teosofia e all’occultismo nell’epoca del Rinascimento e in quella successiva del Barocco. Divenne una specie di bandiera, dietro la quale - poiché non v’era da temere alcun controllo da parte dei pochi veri cultori della kabbalah;- praticamente tutto poteva offrirsi al pubblico: da contenuti autenticamente ebraici a meditazioni solo vagamente ebraizzanti di profondi mistici Cristiani fino agli ultimi prodotti da fiera della geomanzia e della cartomanzia. Il nome kabbalah, con il brivido reverenziale che subito incuteva, comprendeva tutto. Anche i più estranei elementi del folklore occidentale, anche le scienze del tempo in qualche modo orientate verso l’occultismo, come l’astrologia, l’alchimia, la magia naturale, diventavano “kabbalah”. È ancora oggi la kabbalah porte con sé questa pesante zavorra, giunta in certi momenti a oscurare completamente il suo vero contenuto, presso la communis opinio, tra i profani come tra gli adepti della teosofia, nell’uso linguistico di numerosi scrittori europei e perfino di studiosi. In particolare, ancora nel XIX secolo i teosofi francesi della scuola martinista (Eliphas Lévi, Papua e molti altri) e in questo secolo ciarlatani come Alesteir Crawley e i suoi ammiratori in Inghilterra sono riusciti a confondere per quanto era umanamente possibile ogni genere di discipline occulte con la “santa kabbalah”. Gran parte degli scritti sul cui frontespizio campeggia la parola kabbalah con essa non ha nulla o poco più di nulla a che fare.
Rimane importante distinguere quegli elementi che davvero appartengono alla kabbalah o sono in connessione con essa da quelli che sono stati confusi cdi n essa soltanto attraverso uno sviluppo prodottosi al di fuori dell’ebraismo. In prima linea emerge il compito di di risolvere il problema dei rapporti tra alchimia e kabbalah. Da oltre quattrocento anni, infatti, per i teosofi e gli alchimisti cristiani d'Europa alchimia e kabbalah sono diventati ampiamente concetti sinonimici e si tende a credere che esistano tra di loro forti legami interni. Approfondire criticamente questo problema sarà lo scopo del presente studio.
Nella discussione scientifica sui rapporti sistematici tra alchimia - un movimento che pare perseguire uno scopo puramente iscritto nelle scienze naturali, quale la trasmutazione dei metalli in oro - e mistica di sono imposte due prospettive assai diverse l’una dall’altra. La prima considerava questi rapporti da punti di vista puramente storici, quali ad esempio quelli espressi nei grossi lavoro di Edmund von Lippmann e Lynn Thorndyke. Sull’altro versante si affermava con crescente vigore e si faceva più influent la tendenza a comprendere vaste regioni dell’alchimia come volt, in realtà, a descrivere processi puramente interiori dell’uomo stesso. A partire dal 1850 si sono sviluppate in questo senso ipotesi di grande portata basate sulla possibilità, quasi senza eccezioni, di riferire simbolicamente i processi alchemici e le azioni degli adepti alla vita “spirituale” interiore dell’uomo. Oggetto dell’alchimia è, secondo questa prospettiva, non la trasmutazione dei metalli, ma quella dell’uomo stesso. L’”oro filosofale” che dovrebbe essere prodotto è qui la perfezione dell’anima, l’uomo nello stadio mistico della rinascita o redenzione. Sviluppatasi inizialmente in Irlanda e in America, nei lavori di Mrs Atwood e di E. A. Hitchcock, che fanno sfoggio di straordinaria erudizione, questa tendenza fu poi ripresa da un allievo di Freud, Herbert Silberer, è consolidata con gli strumenti della psicanalisi. Stimolato da Silberer, C. G. Jung ha poi sviluppato questa concezione dell’alchimia in lavori divenuti famosi e influenti, nel senso della sua psicologia analitica basata principalmente sulla teoria degli archetipi.
Quando abbia preso avvio questo orientamento non chimico, ma psicologico, dell’alchimia, è ancora oggi discusso e non è mia intenzione prendere posizione su questo punto. Innegabile è che già alcuni passi dei profeti della Bibbia che (come Isaia I : 25) comparano la purificazione di Israele a quella dei metalli, possono avere ispirato simili pensieri. Tra gli alchimisti di epoche più tardi e anche il paragone di Dio con l’oro puro nel Libro di Giobbe 22 : 24-25 ha avuto un grande ruolo. A. E. Walter, in un lavoro apparso alcuni anni prima delle ricerche di anung, The Secret Tradition in Alchemy (1927), ha trattato ampiamente il problema della datazione dell’interpretazione in chiave mistica dell’alchimia, individuandone il primo periodo verso la fine del Medioevo. In ogni caso mi sembra si possa convenire sul fatto che una parte di non poca consistenza di scritti alchimistici anche celebri, soprattutto dell’epoca successiva a Paracelso, assai verosimilmente non persegue affatto fini puramente chimici, e questi scritti sono intesi come indicazioni sul lavoro mistico dell’uomo su sé stesso. Per molti autori si può anche ammettere che essi coscientemente abbiano pensato a una coincidenza tra il processo chimico e quello mistico, e questo, ritengo, soprattutto per gli alchimisti degli ambienti rosacrociani. Senza dubbio abbiamo qui a che fare con un movimento mistico i cui interessi per le scienze naturali risultano essere piuttosto prodotti secondari della sua sobologia è prassi simbolica. Ed è proprio in questi circoli che l’identificazione tra kabbalah e alchimia si è imposta con particolare vigore.
Prima di accingerci a seguire i passaggi che hanno portato dalla kabbalah in veste cristiana all’alchimia, dobbiamo innanzitutto rispondere alla domanda: qual è la posizione della kabbalah, in quanto sistema di simboli mistici più o meno unitario in determinati tratti fondamentali del suo sviluppo classico - al più tardi dal XIII secolo al 1600 circa - nei conforti dell’alchimia? Quanto l’alchimia era diffusa tra gli ebrei, anche prima dello sviluppo della kabbalah o parallelamente ad esso, così da poter influenza il formarsi di simboli cabalistici?
Il centro dell’alchimia, comunque La si comprenda, rimane sempre la trasmutazione dei metalli come la cosa più alta e più nobile al mondo. Anche per i mistici tra gli alchimisti l’oro costituisce il centro o il fine del “Lavoro”, come simbolo del più alto stadio morale e spirituale. Senza questa premessa non c’è alchimia. Ora, proprio questa premessa, questa concezione dello status dell’oro, difficilmente si concilia con la simbologia cabalistica. Perché nella kabbalah l’oro. On è affatto il simbolo dello stadio più alto. L’intera letteratura cabalistica, centinaia e centinaia di testi e compilazioni di simboli - presenti questi a centinaia nei manoscritti - è su tale punto […] unanime: l’argento è il simbolo della parte destra, del maschile-dispensatore, della grazia e dell’amore (bianco, latte); l’oro invece è il simbolo della sinistra, del femminile, del rigore e del giudizio (rosso, sangue e vino).
Ora, se i principi fondamentali della mistica cabalistica nel suo aspetto teoretico e sistematico contraddicono le tendenze fondamentali della simbologia alchimistica, è pur vero che, per molti particolari nella simbologia e nella terminologia degli scritti cabalistici, nella congerie di motivi e simboli si spino mescolati non pochi elementi dell’alchimia. Qui si può rintracciare un certo influsso dell’alchimia.
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A groundbreaking text on alchemy by the leading scholar of Jewish mysticism is presented here for the first time in English translation. Scholem looks critically at the connections between alchemy, the Jewish Kabbalah; its christianized varieties, such as the gold- and rosicrucian mysticisms, and the myth-based psychology of C.G. Jung, and uncovers forgotten alchemical roots embedded in the Kabbalah.

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