Tentativo di riconciliazione con Manzini dopo quella che per me è stata la deriva commerciale di Rocco Schiavone.
Parzialmente riuscito: la storia fila come un ingranaggio perfetto, sono io che non amo il noir, la malavita e lo splatterume.
E, come al solito mi incazzo un po' quando le quintalate di carne messa al fuoco mandano a puttane la verosimiglianza.
Anche se non incontra appieno i miei gusti rimane un buon romanzo, dalla costruzione praticamente perfetta

La Roma della mafia la rende capitale degli scandali, vero qualcuno, falsi molti, costruiti per accontentare un’opinione pubblica che di scandali vive, e di scandali merita di morire. Manzini racconta una di quelle possibili Rome, tra degrado morale, formale e sostanziale. Renè e Diego sono due fratelli con storie diverse, molto diverse, che ad un certo punto si intersecano. Renè è appena uscito di prigione e organizza una rapina in banca; la rapina va bene, ma tutto quanto accade dopo va nella direzione opposta. Diego lavora all’Inps, è un ragazzo tranquillo, ma viene coinvolto in una congiura di altissimo livello per risolvere il problema del costo dell’assistenza sociale: pensionare definitivamente i pensionati eliminandoli. Come detto le storie dei due fratelli ad un certo punto si intersecano; ma è un romanzo debole, caotico e, onestamente, scontato. Sono stato tratto in inganno dalla casa editrice, è poco per dare un giudizio sull’autore, ma sul libro no. Non ci siamo, Manzini, proprio non ci siamo. ( )

Dopo tanti saggi e libri pesi, questo di Manzini arriva come una ventata di leggerezza. Un intreccio piacevole, una scrittura attenta, qualche splatterata ma e' lo stesso. ( )