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Quando nell’estate del 1994 firmai sulla rivista “Itinerari e luoghi”, allora diretta da Paolo Fioratti, un reportage sull’Anatolia, itinerario tra l’antica Armenia e l’est del paese, territorio di congiunzione tra Europa e Asia, il tema della popolazione curda era alla ribalta della cronaca. Solo pochi anni prima, nel 1991, terminata la prima Guerra del Golfo, si era consumata la tragedia che vedeva circa due milioni di curdi, incalzati dai soldati, dagli aerei e dagli elicotteri di Saddam Hussein, fuggire dall'Iraq in modo tanto frettoloso, quanto disordinato, a bordo di auto, camion, carri trascinati da buoi o asini e persino a piedi. Secondo Felice Froio, autore di questo “I Curdi". Il dramma di un popolo dimenticato” (Mursia, 1991, Collana Fatti, testimonianze, reportages) quei fatti furono una vera ecatombe umanitaria, un delirio in cui persero la vita almeno mille persone al giorno, in maggioranza vecchi e bambini.

Fatti che lasciarono il segno, anche nell'opinione pubblica occidentale, spesso piuttosto distratta dagli eventi che distano più di cinquanta chilometri dai confini del nostro Vecchio Continente. Va da sé che, al momento della pubblicazione del mio reportage, l’idea che, in un ambito più turistico che geopolitico, mi mettessi a parlare di Armeni e Curdi, soprattutto di quest’ultimi che lottavano per un Kurdistan libero e indipendente, diede seguito a qualche resistenza. Il suggerimento fu che li si poteva chiamare “turchi delle montagne” piuttosto che con il loro vero nome: Curdi. Per fortuna lavoravo per un editore illuminato e il servizio andò in stampa così come lo avevo scritto.

Quando partii per la Turchia, che avrei poi visitato più volte nel corso degli anni a seguire, il saggio di Felice Froio era fresco di stampa e mi ha accompagnato, devo dire in modo mirabile, nel corso del tempo ogni qualvolta ritrovavo la necessità di verificare tratti storici, fatti, date che riguardassero il popolo curdo. Da allora ad oggi sul tema sono stati pubblicati molti altri libri, trattati di geopolitica, saggi, ma questo volume di 177 pagine resta un compendio fondamentale per un approccio divulgativo al tema. Lo si può trovare in biblioteche e in moltissime piattaforme di vendita on line, tanto fu la sua diffusione all’epoca della pubblicazione. Mi è tornato tra le mani di recente, mentre leggevo il romanzo “L’età degli orfani” di Laleh Khadivi, autrice americana ma di origini curde che racconta di fatti iniziati nella prima metà degli anni Venti del Novecento e che hanno sullo sfondo il sogno d’indipendenza curdo ed il miraggio di una nazione, il Kurdistan, capace di proteggere tra le alte montagne a cavallo tra Iran e Turchia storia, lingua, cultura e tradizioni di un popolo fiero.

Mi rendo conto che invitare a leggere un saggio che ha trent’anni può sembrare un consiglio anacronistico, ma nel riprenderlo tra le mani e nel consultarlo nuovamente mi sono reso conto di quanto, grazie al suo schema narrativo semplice ed immediato, esso conservi quelle caratteristiche che lo rendono adatto ad un lettore non specialistico, in uno stile di scrittura che predilige la semplicità alla nozionistica accademica, che evita intricate sovrapposizioni teorico complottiste e che quindi ben si presta a farsi leggere anche nelle fatidiche ore serali in cui la palpebra tende a calare.

Come ebbe a scrivere l’autore, questo libro “vuol far conoscere la realtà dei Curdi attraverso la loro storia. Da tempi antichissimi questo popolo, che nei secoli ha dato molti filosofi, scrittori, grandi musicisti, e poeti, vive su un territorio prevalentemente montuoso, vasto una volta e mezzo l'Italia, con la forma di una mezzaluna. Il suo nome è Kurdistan, che letteralmente vuol dire «paese dei kurdi» e che dei Curdi non è. Da questa terra prendono la corsa i due fiumi Tigri ed Eufrate, nomi mitici per la storia di tutta l'umanità”.

Il libro parte subito con quanto accadde nel 1991, un ultimo dramma coerente anche con l’anno di pubblicazione, per poi farci entrare nella geografia culturale dei Curdi. Essi, infatti, possiedono tutte le caratteristiche per essere considerati non solo un’etnia ma un popolo con una chiara idea della nazione: lingua, cultura, tradizioni. Leggendo questo saggio scopriamo, ad esempio, che il primo scritto in lingua curda risale al VII secolo e racconta delle malefatte al momento dell’invasione araba che cercò di cancellare il mazdeismo, la religione professata dai Curdi. Così come che, convertiti all’islam, queste genti diedero grandi contributi alla cultura musulmana: un musicista curdo, tal Ibrahim Mawsili nel VIII secolo introdusse la musica, sino a quel momento bandita, nel mondo islamico dando vita al primo Conservatorio di musica colta musulmana. Tutti elementi, che indipendentemente dalla frammentazione politico territoriale in cui si trovano a vivere, sostengono e danno forza all’aspirazione di voler costruire uno stato indipendente basato su reali valori di identificazione culturale.

La storia poi è fondamentale per aiutare a capire chi legge non solo “da dove arrivano” i Curdi, ma a comprenderne anche la sofferenza per un trattamento che definire “discutibile” è un eufemismo. Trattamento ricevuto da parte delle grandi potenze che si sono divise per secoli la geografia in cui essi sono nati e vivono, quelle splendide montagne tanto care a Laleh Khadivi, autrice di “L’età degli orfani” in cui ci è raccontato delle persecuzioni curde in terra iraniana. Pochi sanno, infatti, che se oggi i curdi sono perseguitati, gran parte delle responsabilità ricadono sulle potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale che hanno sacrificato ai propri interessi le aspirazioni del popolo curdo. Nel 1920 il Trattato di Sèvres aveva concesso ai curdi l'autonomia e una patria. Tre anni dopo, a Losanna, gli alleati rinnegano il precedente impegno di Sèvres e lasciano i curdi sotto la giurisdizione di quattro paesi: Turchia, Iran, Iraq e Siria. Da allora la storia dei Curdi è un susseguirsi di genocidi e deportazioni. Ma è soprattutto con l'annientamento culturale che si cerca di fare “pulizia etnica”: i Curdi non hanno diritto di dare un nome ai loro figli, di parlare nella loro lingua, di scrivere in curdo, di avere un giornale. Molti sono stati arrestati perché trovati in possesso di libri in curdo o di dischi di musica curda.

Per meglio farci capire la loro situazione, Felice Froio che fu giornalista de «La Stampa», de «La Repubblica» e del «Corriere della Sera» (è scomparso nel 2016), ci parla di questo popolo frammentato geograficamente, la più grande nazione al mondo senza Stato, inquadrandolo all’interno del mosaico delle entità politiche in cui esso vive: i Curdi della Turchia, i Curdi dell’Iraq, i Curdi dell’Iran, i Curdi della Siria e persino quelli dell’Unione Sovietica. Il libro si chiude con una bella tabella cronologica delle dati più importanti (sino al 1991 naturalmente) e con documenti e interventi di organizzazioni umanitarie che si battono per i diritti dell’uomo. Un saggio accurato nella documentazione e seriamente elaborato.

Certo, valutandolo in questo terzo millennio, qualcuno potrà obiettare che non vi si ritrova la figura ed il ruolo che ha avuto la risposta armata del popolo curdo per la realizzazione della forma statale e per l’affermazione dei diritti, guidata da Öcalan e dunque lo scontro tra le forze armate turche e il PKK; l’affermazione dell’AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) e la stagione di riforme avanzate da questo partito politico in vista di una futura adesione della Turchia all’Unione Europea e il cambiamento di pensiero di Öcalan e la Siria; lo scontro anche ideologico tra milizie curde e Stato Islamico, la politica seguita in Turchia e in Siria da Erdogan nella “questione curda”; la diaspora nei territori dell’Unione Europea. Tutto ciò è chiaramente venuto dopo e non mancano certamente saggi più recenti capaci di affrontare il tema per gli sviluppi post anni Novanta. D’altro canto questo lavoro racchiude alcuni elementi e riferimenti storici e culturali che, per chiare esigenze di razionalizzazione editoriale, nei testi più recenti sono accantonate o semplicemente sfiorate in quanto meno attuali, ma non meno importanti però. Sicuro è che la lettura di questo libro, a mio parere, resta comunque utile e preziosa per meglio comprendere le radici del dramma di un popolo dimenticato.
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Sagitta61 | Oct 8, 2023 |

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