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Jason Brennan

Teoksen Against Democracy tekijä

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Jason Brennan is the Robert J. and Elizabeth Flanagan Family Professor of Strategy, Economics, Ethics, and Public Policy at Georgetown University. He is the coauthor of Cracks in the Ivory Tower: The Moral Mess of Higher Education and the author of When All Else Fails: The Ethics of Resistance to näytä lisää State Injustice and Against Democracy. näytä vähemmän

Includes the name: Jason F. Brennan

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The Palgrave Handbook of Philosophy and Public Policy (2018) — Avustaja — 4 kappaletta

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I was hoping to get more of an insight as to what makes a typical Libertarian tick... so to speak. It wasn't a bad read though.
 
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paulneocube | 4 muuta kirja-arvostelua | Mar 3, 2024 |
Sono stato attratto da questo libro perché la mia fiducia nella democrazia, già alquanto incrinata, in questi ultimi anni è precipitata; e perché una delle tare principali della democrazia mi sembra l'incompetenza degli elettori; e perché mi sembra che, di conseguenza, si dovrebbe limitare l'esercizio dei diritti politici solo ai cittadini qualificati. Che poi è la tesi del libro.

Per usare il termine specifico, si propone di realizzare una epistocrazia, cioè un regime politico in tutto simile alla democrazia, con la differenza che i diritti politici sarebbero concessi solo a quei cittadini che si dimostrano competenti a sufficienza, o sarebbero graduati in base a questa competenza.

L'autore espone una serie di critiche alla democrazia che sono ben fondate: la maggior parte degli elettori sono "hobbit" (apatici, ignoranti, superficiali) o "hooligan" (partigiani estremi, testardi e pieni di pregiudizi) e sono incapaci di fare scelte ponderate e razionali; la partecipazione politica rende i cittadini peggiori e nemici gli uni degli altri; la partecipazione politica non dà potere ai singoli cittadini perché l'influenza politica di ciascuno è insignificante; la partecipazione politica non ha valore nemmeno su un piano simbolico psicologico o identitario.

Poi sostiene che dovremmo avere diritto a un governo competente, e che gli elettori, con le loro scelte incompetenti, danneggiano tutti; ma ammette che nonostante tutto le democrazie funzionano meglio di come ci si dovrebbe aspettare, e spesso anche meglio dei regimi politici autoritari. Ma conclude che una epistocrazia probabilmente non sarebbe peggiore di una democrazia e quindi converrebbe provarla. E infine esamina alcune modalità con cui si potrebbe realizzarla.

La preferenza dell'autore per l'epistocrazia è basata su una considerazione non ideologica ma pratica: si dovrebbe scegliere la forma di governo che funziona meglio; ci sono fondate ragioni per credere che l'epistocrazia funzionerebbe meglio della democrazia; quindi si dovrebbe provarla. Ovviamente è una proposta irrealizzabile: la democrazia è considerata uno degli aspetti essenziali e caratteristici delle società occidentali contemporanee; la possibilità di limitarla non viene minimamente presa in seria considerazione, ma se lo fosse, sarebbe considerata scandalosa ed eversiva e provocherebbe una rivolta.

La critica della democrazia è svolta con un tono pungente e forse persino un poco sfrontato. Ma le argomentazioni dell'autore hanno dei limiti e dei difetti. Le democrazie contemporanee comprendono accorgimenti e meccanismi che limitano i danni da incompetenza, e contengono già degli elementi epistocratici. Ha un punto di vista un po' troppo americano: in altri paesi democratici ci sono differenze evidenti nel funzionamento della politica. Inoltre, nonostante il dettaglio delle argomentazioni, mi ha dato un'impressione di superficialità, che non so però bene precisare. La traduzione non è ben fatta: ha troppi calchi e anglicismi non necessari e anche qualche errore.

Resta il fatto che la democrazia oggi è in crisi, e si sta degradando dappertutto. In certi paesi e in certi periodi ha funzionato bene, ha prodotto pace, sviluppo, prosperità e libertà, e ha resistito agli assalti di dittature e totalitarismi; ma quei tempi sembrano finiti. A me, da profano, vien da pensare che la democrazia ha potuto prosperare perché ha trovato condizioni particolarmente favorevoli, condizioni che non so bene precisare ma che ora non esistono più. Sicuramente la televisione ha fatto male alla democrazia, e la rete sta facendo molto peggio; il declino dei partiti politici ha contribuito al degrado della classe politica e all'instabilità dei governi; la globalizzazione ha diminuito l'efficacia della politica e aumentato le disuguaglianze.

Io continuo a pensare che una maggiore dose di epistocrazia potrebbe rendere la prospettiva meno infausta. Ma temo che non ci sia rimedio, e che il declino della democrazia liberale sia irreversibile. È un regime politico che è stato il prodotto di certe circostanze storiche, che ora stanno sparendo, e semplicemente non funziona più. È sotto attacco dall'interno (dai populismi) e dall'esterno (dai regimi autoritari). Degenera progressivamente nell'instabilità, nella demagogia o nell'autoritarismo. E così facendo divora la competenza nel governo e distrugge la libertà.
Il motore della democrazia è il popolo; ma il popolo è un animale molto grosso con un cervello molto piccolo, e se la democrazia liberale nella sua epoca d'oro riusciva a imbrigliarlo e indirizzarlo a fini positivi, ora non ci riesce più. Il popolo è diventato carne da cannone per demagoghi e aspiranti dittatori. Quando si vede, tanto per fare qualche esempio, che i turchi hanno eletto e rieletto Erdoǧan o che gli ungheresi hanno eletto e rieletto Orbán, che sono diventati dei quasi dittatori; quando si vede, tanto per fare un altro esempio, che gli italiani, dopo essersi fatti abbindolare da Berlusconi per vent'anni, hanno iniziato a buttarsi in massa a casaccio su questo e su quello (nel 2014 su Renzi; nel 2018 sui grillini; nel 2019 su Salvini; nel 2022 su Meloni; e chissà cos'altro ci aspetta in futuro); quando si vede che un personaggio ripugnante e pernicioso come Donald Trump, quasi senza colpo ferire, si è impadronito di uno dei principali partiti politici americani ed è arrivato alla Casa Bianca; e quando si vede che, dopo averlo anche visto all'opera, gli americani potrebbero addirittura rieleggerlo; quando si vedono cose di questo genere, come si può avere ancora fiducia nella democrazia?
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Oct326 | 5 muuta kirja-arvostelua | Dec 31, 2023 |
Levels serious critiques at American democracy in particular (though, as a work of political philosophy it clearly aims at 'democracy' in general) and proposes 'epistocracy' as a replacement... though what epistocracy means in practice is left loose, and how we get there from here is barely waved at.

To really argue against this I'd have to re-read it. But a first major objection would follow the outline that, while the criticisms are entirely valid -in my experience, anyway- and the merits of epistocratic government plausible, the empirical vs. theoretical argument leveled at democracy hasn't been thoroughly explored re: epistocracy (e.g. we have some analogous experience with judicial review, as covered for different purposes in the book.) Secondly, while Brennan cites plenty of evidence that our voting doesn't really give us choice, really improve us, or genuinely invest legitimacy in the government, he seems to fail to address how actual people really feel about that (a fairly glaring oversight, given the repeated insistence on empirically lead thought.) Even if I shouldn't feel that e.g. my voting makes the government legitimate, I certainly do feel that way... and I can imagine defending that physically should it be threatened (e.g., with a gun, going to war, etc.) I imagine that a lot of other people feel similarly. Could we convince people otherwise?

Maybe. But it seems like that this second issue will be incredibly difficult, making real testing re: the first issue next to impossible.

But... the critiques are worth discussing. And the solutions, even if theoretical, are too.
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dcunning11235 | 5 muuta kirja-arvostelua | Aug 12, 2023 |
So, this series ("What Everyone Needs to Know") is the Oxford University Press's answer to the "Very Short Introductions". It's less short (so, I guess merely "short" as opposed to "very short") and the format (at least in this book) was a Q&A/FAQ organized by topic (economics, social justice, criminal justice, etc.). The book is designed such that you don't need to read it linearly with the consequence that some of the information is repeated, often word-for-word, in multiple questions. Mildly annoying, but given the format, the repetition at least is unavoidable. There is also some handy cross-referencing between questions.

Overall, I found the book quite informative. My knowledge of libertarianism is hit-and-miss-- similar to my knowledge of anarchism but, as I discovered, was less accurate and more based on the 'hard libertarian' stereotype that is generally used when attacking libertarians. I'd always known a lot of my politics, especially socially/societally, were libertarian: free speech, freedom to marry whom you wish, reproductive rights, killing the War on Drugs, decriminalizing (most) drug use and prostitution. (Less face it, one doesn't have to look too deeply at history to see that criminalizing vice doesn't work and far from protecting those who engage in vice, tends to hurt them.)

If you, like I did, view most libertarians as wacky Ayn Rand types, definitely give this a read. You'll find it a welcome recalibration.

Note: too lazy to proofread, apologies for any typos.
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Merkitty asiattomaksi
qaphsiel | 4 muuta kirja-arvostelua | Feb 20, 2023 |

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