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Natasha's Dance: A Cultural History of Russia (2002)

Tekijä: Orlando Figes

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1,815169,340 (4.16)91
Examines the culture of Russia, using the lives of writers, artists, and musicians to show how Russia has struggled to define its own soul in the twentieth century.
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Even if one takes nothing else away from this elegant, tightly focused survey of Russian culture, it's impossible to forget the telling little anecdotes that University of London history professor Figes (A People's Tragedy) relates about Russia's artists, writers, musicians, intellectuals and courtiers as he traces the cultural movements of the last three centuries. He shares Ilya Repin's recollection of how peasants reacted to his friend Leo Tolstoy's fumbling attempts to join them in manual labor ("Never in my life have I seen a clearer expression of irony on a simple peasant's face"), as well as the three sentences Shostakovich shyly exchanged with his idol, Stravinsky, when the latter returned to the Soviet Union after 50 years of exile (" `What do you think of Puccini?' `I can't stand him,' Stravinsky replied. `Oh, and neither can I, neither can I' "). Full of resounding moments like these, Figes's book focuses on the ideas that have preoccupied Russian artists in the modern era: Just what is "Russianness," and does the quality come from its peasants or its nobility, from Europe or from Asia? He examines canonical works of art and literature as well as the lives of their creators: Tolstoy, Tchaikovsky, Chagall, Stanislavsky, Eisenstein and many others. Figes also shows how the fine arts have been influenced by the Orthodox liturgy, peasant songs and crafts, and myriad social and economic factors from Russian noblemen's unusual attachments to their peasant nannies to the 19th-century growth of vodka production. The book's thematically organized chapters are devoted to subjects like the cultural influence of Moscow or the legacy of the Mongol invasion, and with each chapter Figes moves toward the 1917 revolution and the Soviet era, deftly integrating strands of political and social history into his narrative. This is a treat for Russophiles and a unique introduction to Russian history.

Figes (history, Univ. of London; A People's Tragedy) describes the twists and turns of Russian history through cultural and artistic events from the founding of Rus in the 12th century through the Soviet era. He uses Tolstoy's War and Peace as a centerpiece of art imitating life. The title of Figes's book comes from the scene in which Natasha Rostov and her brother Nikolai are invited by their "uncle" to a rustic cabin to listen to him play Russian folk music on his guitar. Natasha instinctively begins a folk dance that is prompted by "unknown feelings in her heart." Tolstoy would have us believe that "Russia may be held together by unseen threads of native sensibilities," writes Figes. Nowhere is the clash between the European culture of the upper class and the Russian culture of the peasantry more evident. "The complex interactions between these two worlds had a crucial influence on the national consciousness and on all the arts of the 19th century." This interaction is a major feature of this book, which traces the formation of a culture. The writing style is distinctly nonacademic, making for a very enjoyable read.
8 | Denunciarantimuzak | Dec 26, 2005 | ( )
  reirem | Aug 28, 2023 |
Stravinskij proclamo’:
L’odore della terra russa e’ diverso, e queste sono cose che non si possono dimenticare… (502)

Cosa significava essere russi? Qual era il posto e la missione della Russia nel mondo? E dov’era l’autentica Russia? In Europa o in Asia? San Pietroburgo o Mosca? L’impero zarista o il fangoso villaggio con la sua unica strada dove viveva lo “zio” di Natasa? Erano queste le “domande ossessive” che nell’età d’oro della cultura russa, da Puskin a Pasternak, occupavano la mente di qualsiasi serio scrittore, critico e storico letterario, pittore o compositore, teologo o filosofo. Sono le domande che, nella prospettiva di questo libro, si celano sotto la superficie dell’arte. (xv)

Il mio obbiettivo è di esplorare la cultura russa nello stesso modo in cui Tolstoj e, come l’aria al cui ritmo balla Natasa, la maggior parte delle “canzoni popolari” era giunta dalle città. (xvi)

Quando Pietro dichiarò “qui sorgerà una città”, le sue parole sembrarono echeggiare il comando divino “sia la luce”. E, secondo la leggenda, allorché le pronunciò, un’aquila prese a volteggiare sopra la testa dello zar andando poi a posarsi sul culmine di un arco formato da due betulle allacciate. (4)

San Pietroburgo era più di una città. Era un grande progetto, in certo modo utopistico, di ingegneria culturale per rimodellare il russo come uomo europeo. Dostoevskij nelle Memorie del sottosuolo, la definì “la più astratta e artificiosa città di tutto il globo terrestre”. Ogni aspetto della cultura petrina era designato a negare la Moscovia “medievale” (XXVII secolo). Nell’intenzione dell’imperatore, diventare cittadino di Pietroburgo voleva dire lasciarsi alle spalle gli “oscuri” e “arretrati” costumi del passato russo per entrare, come russo europeo, nel moderno mondo occidentale del progresso e dei Lumi. (9)

Ma questo senso di far parte dell’Europa produceva anche anime divise. “Noi russi abbiamo due patrie: la Russia e l’Europa”, scriveva Dostoevskij. (48)

Nei panorami settecenteschi di San Pietroburgo il cielo aperto e lo spazio connettono la città con un più ampio universo. Linee dritte tendono verso orizzonti lontani, oltre cui, siamo sollecitati a immaginare, giace a portata di mano il resto dell’Europa. La proiezione della Russia sull’Europa era sempre stata la raison d’etre di San Pietroburgo. Essa non era soltanto la “finestra sull’Europa” di Pietro - come disse una volta Puskin della capitale - ma un passaggio aperto attraverso cui l’Europa entrava in Russia e i russi facevano il loro ingresso nel mondo. (54)

“Per conoscere il nostro popolo, - scriveva il poeta Aleksandr Bestuzev, - bisogna vivere con lui e parlare con lui nel suo linguaggio, si deve mangiare con lui e celebrare con lui i giorni di festa, cacciare nei boschi l’orso insieme con lui, o recarsi al mercato su un carro contadino”. La poesia di Puskin fu la prima a ottemperare a questa esigenza. Parlare al più ampio ventaglio di lettori, tanto al contadino alfabetizzato come al principe, nell’idioma russo comune. Creare una lingua nazionale con la sua poesia fu la suprema realizzazione di Puskin. (71)

Come ben sanno i lettori di Guerra e pace, la guerra del 1812 rappresentò uno spartiacque nella cultura dell’aristocrazia russa. Fu una guerra di liberazione nazionale dallo scettro intellettuale della Francia: un momento in cui nobili come I Rostov e i Bolkonskij cercarono di liberarsi dalle abitudini straniere della loro società e iniziarono una nuova vita fondata su principi russi. (88)

Aksakov sosteneva che il “tipo russo” era incarnato nel leggendario eroe popolare Il’ja Muromec che compare in narrazioni epiche come protettore della terra russa contro invasori e infedeli, briganti e mostri, con la sua “forza gentile e la sua mancanza di aggressività, ma anche con la sua prontezza a combattere per la causa del popolo in una giusta guerra difensiva”. (117)

Con le sue casette in legno e le stradine tortuose, con i suoi palazzi dotati di stalle e di cortili chiusi dove pascolavano liberamente mucche e pecore, Mosca possedeva una peculiare atmosfera campagnola. Era chiamata “il grande villaggio”, un soprannome che ha mantenuto fino ad oggi. (132)

Nelle parole di Pasternak:

Tutto si coprira’ di nebbia favolosa,
similmente ai rabeschi sui muri
della camera indorata dei boiari
e alla chiesa del Beato Vasilij.

Al sognatore e al nottambulo
Mosca e’ piu’ cara d’ogni cosa al mondo.
Egli si trova a casa, alla sorgente
di tutto cio’ di cui fiorira’ il secolo. (190)

Perche’, come illustrano i famosi versi del poeta Nekrasov:

La Russia e’ racchiusa nel profondo della sua campagna
la’ dove regna un eterno silenzio. (193)

Optina Pustyn’, l’ultimo grande ricetto della tradizione eremitica che riconnetteva la Russia a Bisanzio, andra’ delineandosi come il centro spirituale della coscienza nazionale. Tutti i piu’ grandi scrittori dell’Ottocento - Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj tra gli altri - vi si recheranno nella loro ricerca dell’”anima russa”. (251)

Cio’ che il russo non puo’ comprendere restera’ per sempre sconosciuto agli uomini. (270)

Nella sua lettera a Gogol’, Belinskij aveva riconosciuto che il contadino russo si caratterizzava per il timore e la devota reverenza verso Dio. “Ma mentre pronuncia il nome di Dio, si gratta la schiena. E dell’icona dice: “Va bene per pregare, ma anche per coprirci le pignatte”. (274)

Nelle Mie universita’ (1922), Gor’kij descrive un contadino da lui incontrato in un villaggio vicino Kazan’, il quale
… immaginava (Dio) come un vecchio grande e nobile, come un padrone buono e intelligente, che non poteva vincere il male solo perche’: “Non fa in tempo, ci sono troppi uomini oggi. Ma non importa, ci riuscira’ vedrai! … Per quanto ne so, Dio non e’ morto… (275)

Si tratto’, sembra, del tentativo consapevole da parte della Chiesa russa di appropriarsi del culto pagano di Rozanica, dea della fertilita’, e dell’antico culto slavo dell’umida Madre terra, ovvero della dea conosciuta come Mokos, da cui derivo’ il mito della “madre Russia”. Nella sua forma contadina piu’ arcaica, la religione russa era una religione della terra. (276)

Nella mentalita’ russa, la frontiera religiosa e’ stata sempre piu’ importante di qualsiasi confine etnico, e i piu’ antichi termini per “straniero” (ad esempio, inoverec) veicolano la connotazione di una fede diversa. E’ ugualmente significativo che la parola russa per “contadino” (“krest’janin”), che in pressoche’ tutte le altre lingue europee si radica nella nozione di paese o di terra, sia connessa invece alla parola per “cristiano” (“christianin”). (322)

Marciando verso il cuore dell’Asia, i russi tornavano al loro antico focolare. …
Ispirato dal soggiogamento dell’Asia centrale, anche Dostoevskij arrivo’ a pensare che il destino della Russia non fosse in Europa, come aveva a lungo reputato, ma in Oriente. (355)

Tarkovskij ha rivissuto questo mito nazionale in antitesi al sistema di valori del regime sovietico, con le sue idee aliene di razionalismo materialistico. “L’odierna cultura di massa…, - scrive Tarkovskij, - mutila le anime, sbarrando all’uomo la strada che conduce ai problemi radicali della sua esistenza, alla presa di coscienza di se stesso come essere spirituale”. Tale coscienza spirituale, egli pensava, era il contributo della Russia poteva offrire all’Occidente. Un’idea, questa, simboleggiata nell’ultima immagine iconica di Nostalghia (1983): una casa contadina russa inserita tra le rovine di una cattedrale italiana. (445)

Nel 1933 Bunin ottenne il Nobel. Fu il primo scrittore russo a ricevere questo premio che, arrivato mentre Stalin stava mettendo in catene la cultura sovietica, fu percepito dagli emigrati come il riconoscimento che la Vera Russia (sul piano della cultura) si trovava all’estero. (462)

La musica di Rachmaninov esprime lo spirito di questo paesaggio. “I russi sentono con il suolo un legame piu’ forte di qualsiasi altro popolo, - spiego’ a una rivista americana (pensando, evidentemente, soprattutto a se stesso). - Esso deriva da una tendenza istintiva alla quiete, alla tranquillita’, all’ammirazione della natura, e forse da una ricerca di solitudine. Mi sembra che tutti i russi siano un po’ eremiti”. (465)
( )
  NewLibrary78 | Jul 22, 2023 |
I read this several years ago and found it a tour de force of culture through the millenium of Russia's tragic and violent history. Russia's great paintings are explored. Certainly her literature. Philosophy. Historical occasions. A thick, in depth read well worth the effort and time. Excuse the brevity here, but I read this a few years ago, but felt obliged to post it as an accompaniment to Figes recent, Story of Russia. ( )
  forestormes | Dec 25, 2022 |
Un relato fascinante y una celebración de la grandeza de la cultura rusa y de las extraordinarias vidas de quienes le dieron forma. ( )
  pedrolopez | Feb 16, 2022 |
Figes takes us through about two centuries of literature, theatre, music and visual arts in Russia in the space of a little less than 600 pages, starting more or less with Pushkin's generation and ending with that of Nabokov and Shostakovich. That means we don't get very much about any one topic, and a lot of potentially interesting things get left out (e.g. Tchaikovsky, who barely gets more than a footnote). But we do end up with a very handy overview of who the main players were, and why they matter, and there is a generous bibliography to get us started with further reading.

There are some rather TV-like narrative tricks used to make the book more "inviting", such as picking a particular person or house as a kind of viewpoint character in each chapter — in particular, the Sheremetev Palace ("Fountain House") in St Petersburg, where Akhmatova had an apartment for a long time, and which allows Figes to establish a narrative bridge between the late 18th century and the Stalin-period. Fortunately, he doesn't invest too much in this fashionable silliness (as far as I know, the book never did result in a commission for a TV series), it's mostly just confined to a few pages at the start and end of each section, and only detracts a little from the interest of the book.

Figes seems to be equally comfortable talking about literature and music, which is unusual, but obviously very important for a book like this. On the musical side, he is especially interested in Mussorgsky, Rimsky-Korsakov, Stravinsky and Shostakovich, and he has useful, if not necessarily very original, things to say about all of them. It was interesting to see him dismantling a lot of the usual notions about traditional sources for Russian music: most of the folk tradition (especially outside European Russia) seems to have been invented retrospectively by practitioners of art music. In literature most of the usual suspects get a fair crack of the whip — Pushkin, Turgenev, Tolstoy, Dostoyevsky and Chekhov in the 19th century; Akhmatova, Tsvetaeva and Nabokov in the 20th. Others (Gorky, Pasternak, Bunin, etc.) get a quick burst of the spotlight from time to time but aren't discussed in detail.

There's quite a detailed discussion of the Moscow Arts Theatre, of Diaghilev and the Ballets Russes and of the early days of Soviet cinema (Vertov and Eisenstein), but not very much else about performing arts: even Chekhov's plays are passed over fairly swiftly. Painting and sculpture also get less space than you might expect.

A very useful, accessible introduction, but — inevitably for a book with such a wide scope — you're likely to find it rather thin on anything you already know something about. ( )
  thorold | Nov 2, 2020 |
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In Tolstoy's 'War and Peace' there is a famous and rather lovely scene where Natasha Rostov and her brother Nikolai are invited by their 'uncle' (as Natasha calls him) to his simple wooden cabin at the end of a day's hunting in the woods.
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